Eva Mitocondriale

Nel DNA di ciascuno di noi si nasconde la storia di una sola donna: l’Eva mitocondriale. Non è leggenda, è genetica. Pur non conoscendone il nome, il volto o la voce, il suo lascito sopravvive ancora oggi, intatto, in ogni cellula dei nostri corpi.

Malgrado il nome evocativo, il concetto dell’Eva mitocondriale è ben lontano dal contesto biblico. Non è la prima donna, non è l’unica del suo tempo, è semplicemente colei da cui tutti noi abbiamo ereditato il DNA mitocondriale.

Il nome è stato coniato poco dopo uno studio denominato “Mitochondrial DNA and human evolution”, risalente al 1987, in cui, analizzando il DNA mitocondriale (mtDNA) di 147 individui provenienti da cinque diverse aree geografiche, i ricercatori hanno scoperto che tutte le varianti di mtDNA derivano da una singola donna vissuta circa 200.000 anni fa, probabilmente in Africa.

Il DNA mitocondriale si trova in organelli del citoplasma della cellula, chiamati mitocondri, e consta di 37 geni, necessari per fabbricare alcune delle proteine essenziali per farli funzionare. Questi sono responsabili della respirazione cellulare, cioè del processo con cui le cellule producono energia sotto forma di ATP (adenosina trifosfato).

Tralasciando la funzione biologica e incentrandoci su quella evolutiva, l’mtDNA è lo strumento perfetto per ricostruire la linea materna, poiché solo in rari casi il padre potrebbe trasmettere questo DNA alla sua prole. A differenza del DNA nucleare, che deriva a metà dalla madre e dal padre, l’mtDNA non si ricombina se non con sé stesso all’interno dello stesso mitocondrio. Ha un tasso di mutazione più alto del DNA nucleare poiché non è avvolto da istoni, che lo proteggono, ed è a stretto contatto con i radicali liberi, piccole molecole prodotte naturalmente dalle cellule durante i processi metabolici, che danneggiano il DNA e sono una delle principali cause dell’invecchiamento cellulare e delle mutazioni. Ed è grazie alla presenza di queste mutazioni che i genetisti sono in grado di confrontare gli mtDNA di persone diverse, affinché si possano ricostruire alberi genealogici. Più vi sono mutazioni in comune, maggiore è il grado di parentela per discendenza materna.

Ma perché esiste una Eva mitocondriale e non un suo equivalente maschile? La risposta risiede nella biologia stessa della fecondazione. Nel momento in cui uno spermatozoo feconda un ovulo, trasmette solo il proprio DNA nucleare, mentre i mitocondri, contenuti nella parte posteriore della struttura, vengono esclusi o attivamente eliminati. I mitocondri dell’embrione sono, quindi, ereditati esclusivamente della madre. Per questo, grazie allo studio di questo DNA, è possibile risalire ad un’unica donna ancestrale.

Una sola madre? No, è questo l’equivoco più grande. Eva mitocondriale non era l’unica donna esistente all’epoca, ma l’unica la cui discendenza materna è giunta fino a noi senza spezzarsi. Le altre linee femminili si sono estinte per pura casualità genetica: le loro figlie non hanno avuto figlie, e così via, fino alla scomparsa. Le sue “colleghe” genetiche, quindi, si sono perse nel tempo. Questo fenomeno è noto come deriva genetica, un processo naturale che influenza tutte le popolazioni nel corso delle generazioni.

Alcuni studi hanno ipotizzato la presenza di varianti di mtDNA non riconducibili direttamente all’Eva mitocondriale in analisi, suggerendo l’esistenza di diverse linee materne ancestrali, sopravvissute in piccola percentuale, magari isolate geograficamente o geneticamente. Queste linee potrebbero aprire la strada a nuovi studi sull’albero genealogico umano; tuttavia, queste ipotesi sono ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.

Alcuni scienziati vedono in queste possibili linee la testimonianza della complessità dell’evoluzione umana e dell’interazione tra popolazioni diverse, ma per potersi avvalere di queste ipotesi si dovrebbe condurre uno studio su scala globale, affinché si possano rintracciare discendenze diverse.

Sebbene l’eredità del DNA mitocondriale sia considerata esclusivamente materna, sono stati documentati alcuni rarissimi casi che mettono in discussione questa certezza. Si tratta del cosiddetto “Paternal Mitochondrial DNA Leakage”, un fenomeno in cui una piccola quantità di mtDNA paterno riesce a penetrare nello zigote al momento della fecondazione. In questi individui si osserva una combinazione di mtDNA biparentale: prevalentemente materno, ma con una frazione riconducibile al padre.
Da un lato, c’è chi vede in questi casi isolati nuove prospettive per lo studio dell’evoluzione e delle malattie mitocondriali; dall’altro, chi preferisce attenersi al modello tradizionale dell’ereditarietà matrilineare, ritenendo questi eventi delle eccezioni trascurabili. In ogni caso, il concetto di Eva mitocondriale resta valido e utile per ricostruire la linea materna comune.

Così come esiste un’unica Eva mitocondriale da cui deriva tutto l’mtDNA attuale, esiste anche un “Adamo cromosomiale-Y”: l’uomo ancestrale da cui discende tutto il DNA contenuto nel cromosoma Y presente negli uomini di oggi. Tuttavia, è importante sottolineare che non si tratta del “compagno” dell’Eva mitocondriale, né di un suo contemporaneo, poiché i due vissero in epoche e, probabilmente, luoghi differenti.

Il confronto è, però, utile per comprendere quanto sia peculiare la trasmissione del DNA mitocondriale: mentre il cromosoma Y viene ereditato solo dagli uomini e può interrompersi facilmente in caso di mancata discendenza maschile, il DNA mitocondriale accomuna tutti noi, uomini e donne, e si trasmette con una costanza sorprendente da migliaia di generazioni.

L’Eva mitocondriale non è importante soltanto in contesto scientifico, ma rappresenta una memoria biologica collettiva. È il filo invisibile che collega indistintamente ogni essere umano, al di là di ogni tempo, cultura e confine, e ci ricorda che, malgrado esistano migliaia di alberi genealogici differenti con diramazioni che ci rendono lontani, in tutti scorre la stessa linfa.


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