Nella mitologia greca, l’Idra di Lerna era un mostro anfibio marino con cui Eracle si batté nella seconda delle dodici fatiche. Immortale, per ogni testa mozzata, due nuove spuntavano al suo posto, rendendola virtualmente invincibile. Dal nome di questa creatura leggendaria deriva quello di un minuscolo animale acquatico che, in un certo senso, incarna davvero l’immortalità: l’Hydra Linnaeus.
Siamo abituati a pensare che ogni forma di vita, prima o poi, debba affrontare l’invecchiamento e la morte. Eppure, la natura presenta eccezioni che sfidano questa regola.
Nello studio della biologia evolutiva e della demografia delle specie, gli scienziati usano curve di sopravvivenza per rappresentare graficamente come varia la probabilità di sopravvivere con l’aumentare dell’età. Questi modelli aiutano a comprendere le strategie di vita adottate dalle diverse specie animali e vegetali per fronteggiare l’ambiente in cui vivono.
La curva di tipo I descrive una popolazione in cui la maggior parte degli individui vive a lungo e muore in tarda età. È il caso dell’essere umano, soprattutto nei Paesi con assistenza sanitaria avanzata, ma anche di molti grandi mammiferi come elefanti, balene, scimmie o animali domestici. In queste specie, la mortalità infantile è molto bassa poiché i piccoli ricevono cura, protezione, nutrimento e difesa dagli adulti. Solo in età avanzata iniziano ad accumularsi danni cellulari, malattie e degenerazioni che portano un rapido aumento del rischio di morte.
Nella curva di tipo II, la probabilità di morire è costante in ogni fase della vita: un giorno vale l’altro. Questo modello è tipico di animali che non ricevono cure parentali particolari e che sono esposti a pericoli simili durante tutta la loro esistenza. Tra questi ci sono molti uccelli, roditori, piccoli rettili, e alcuni pesci. Ogni individuo, che abbia pochi giorni o molti anni, ha le stesse probabilità di finire vittima di predatori, malattie, fame o incidenti. Non esiste quindi un’età particolarmente “critica”: l’invecchiamento ha un ruolo minimo rispetto agli altri fattori ambientali.
La curva di tipo III è l’opposto della I. Qui la mortalità è altissima nelle fasi iniziali della vita, mentre chi riesce a superare l’infanzia ha buone possibilità di vivere a lungo. Questo modello è tipico di animali che generano una prole numerosissima ma che non si occupano di crescerla: molluschi, pesci, anfibi, insetti, piante e soprattutto invertebrati marini. Su milioni di uova deposte, solo pochi esemplari raggiungeranno la maturità. Ma chi ci riesce, spesso ha una buona resistenza e può sopravvivere anche a lungo.
Questi tre modelli sono schemi teorici, utili per semplificare e classificare, ma nessuna specie segue alla perfezione una curva “pura”. Nella realtà, la maggior parte degli esseri viventi presenta curve intermedie o ibride, che cambiano anche in base a fattori esterni come: condizioni ambientali, presenza di predatori, accesso a risorse, tecnologie mediche (nel caso umano) e mutazioni genetiche o adattamenti evolutivi. Anche all’interno della stessa specie, diverse popolazioni possono avere curve di sopravvivenza molto diverse: ad esempio, un branco di leoni in un ambiente ostile può avere un tasso di mortalità precoce molto più alto rispetto a un branco in una riserva protetta.
Se volessimo prendere in considerazione una delle figure più comuni nell’immaginario collettivo, parleremmo di vampiri. Creature leggendarie per eccellenza, i vampiri sono da sempre raffigurati come esseri immortali: non invecchiano, non si ammalano, e possono essere uccisi solo in circostanze eccezionali, come un paletto nel cuore, la luce del sole, o un’incursione sconsiderata in una chiesa.
Se ipotizzassimo la loro esistenza nel mondo reale, il loro profilo biologico si avvicinerebbe sorprendentemente alla curva di sopravvivenza di tipo II: un rischio di morte che rimane pressoché invariato nel corso dell’intera esistenza, a prescindere dall’età. In altre parole, un vampiro avrebbe ogni giorno la stessa (bassa) possibilità di morire semplicemente perché non invecchia. La sua fine, se mai arriverà, non sarà per cause naturali, ma per eventi accidentali o ambientali.
È un modello teorico, certo. Ma è utile per introdurre un’idea affascinante: la natura, in certi casi, imita la fantasia. Alcune specie animali sembrano proprio seguire questa logica. Come l’idra.
L’idra è un minuscolo animale d’acqua dolce — appena 15 millimetri di lunghezza — appartenente al phylum degli cnidari, lo stesso di meduse, anemoni e coralli. Nonostante le dimensioni ridotte, possiede caratteristiche davvero straordinarie. Il suo corpo ha una forma tubolare, con una bocca posta all’estremità, circondata da tentacoli urticanti. Al minimo contatto con una preda, questi rilasciano delle neurotossine paralizzanti, permettendo all’idra di catturare e ingerire l’organismo. Una volta digerito, ciò che resta della preda viene espulso dalla stessa apertura da cui era entrato.
Il nome mitologico non è affatto casuale. Se un’idra viene tagliata in due, ogni metà è in grado di rigenerare la parte mancante, dando origine a due nuovi individui completi. Anche da piccoli frammenti del corpo, in condizioni favorevoli, possono formarsi nuovi esemplari: una replica vivente del mostro di Lerna, capace di riformarsi completamente anche da frammenti del proprio corpo.
Il segreto dell’immortalità dell’idra risiede nella presenza permanente di cellule staminali totipotenti all’interno del suo corpo. Si tratta di cellule primitive e non specializzate, capaci di trasformarsi in qualsiasi altro tipo cellulare e di rigenerare interi tessuti o strutture danneggiate. Nell’essere umano, queste cellule esistono solo per pochi giorni nelle primissime fasi dello sviluppo embrionale, dopodiché si differenziano e perdono questa straordinaria versatilità. L’idra, al contrario, le conserva attive per tutta la vita, in una riserva sempre pronta ad attivarsi.
È proprio grazie a queste cellule che l’idra è in grado non solo di autoripararsi, ma anche di riprodursi per gemmazione: in condizioni ambientali favorevoli, ogni due giorni circa può generare una piccola escrescenza laterale che, una volta completamente formata, si stacca e diventa un nuovo individuo autonomo. Un meccanismo semplice, efficace e potenzialmente illimitato, che le permette di clonarsi all’infinito.
Ma non è tutto. Il corpo dell’idra subisce un rinnovamento completo dei suoi tessuti ogni venti giorni circa. Un turnover cellulare così efficiente impedisce l’accumulo di danni molecolari, di mutazioni genetiche o di segnali di invecchiamento. Ogni cellula danneggiata viene rimpiazzata con precisione, mantenendo intatte le funzioni vitali dell’organismo. Gli studi condotti negli ultimi vent’anni hanno dimostrato che le sue cellule staminali possiedono una capacità di autorinnovamento indefinita, senza segni di declino nel tempo.
Per molto tempo, gli scienziati ritenevano impossibile che un organismo potesse sfuggire alla senescenza biologica, il processo di deterioramento progressivo che accompagna l’invecchiamento. Il biologo Daniel Martinez, spinto da questo scetticismo, decise di testare la longevità dell’idra allevandone centinaia in laboratorio. Era convinto che, anche se dotata di notevoli capacità rigenerative, prima o poi sarebbe andata incontro al declino. Eppure, a distanza di anni, gli esemplari erano ancora vivi e perfettamente funzionali, senza alcun segno di invecchiamento o degenerazione. Fu costretto a ricredersi: l’idra, almeno nelle condizioni sperimentali, non invecchia affatto. Certo, l’idra non è invulnerabile: può soccombere a infezioni, traumi o predatori. Ma non possiede un conto alla rovescia biologico che la condanna al declino con l’età. In un ambiente protetto, la sua esistenza potrebbe proseguire indefinitamente.
L’idra non è l’unico essere vivente a sfidare le leggi dell’invecchiamento, ma è certamente uno dei più emblematici. Esistono altri organismi che presentano caratteristiche straordinarie: la medusa Turritopsis dohrnii, soprannominata “medusa immortale”, è capace di invertire il proprio ciclo vitale, tornando allo stadio giovanile di polipo dopo aver raggiunto l’età adulta. Alcuni squali della Groenlandia possono vivere oltre 400 anni. Alcuni alberi millenari come il pino bristlecone, certe spugne marine e perfino batteri presenti nei sedimenti oceanici sembrano poter attraversare le ere geologiche. Tuttavia, l’idra unisce più elementi in un solo corpo: rigenerazione, assenza di senescenza, riproduzione clonica e rinnovamento cellulare continuo. Una combinazione che, al momento, non ha eguali.
La minuscola idra, che popola le acque dolci senza dare nell’occhio, è oggi al centro dell’interesse della biologia moderna. Non è una creatura mitologica, ma un organismo reale, che sfida apertamente l’idea che invecchiamento e morte siano inevitabili.
Come spesso accade, è la natura stessa a superare l’immaginazione. Se le ricerche in corso riuscissero a svelare i meccanismi che rendono possibile l’immortalità biologica dell’idra, potremmo aprire nuove strade nella medicina rigenerativa, nella lotta alle malattie degenerative e, forse un giorno, nel rallentamento dell’invecchiamento umano. Alcuni ricercatori ipotizzano che, in futuro, si possa riprodurre nei tessuti umani uno stato simile a quello delle cellule staminali totipotenti dell’idra, capace di rigenerare indefinitamente gli organi e prevenire la senescenza cellulare. Una prospettiva ancora lontana e complessa, ma non più impensabile, grazie ai recenti progressi nella riprogrammazione genetica e nello studio delle cellule staminali.
E così, un piccolo organismo trasparente e tentacolare, erede del leggendario mostro sconfitto da Eracle, potrebbe diventare il nuovo simbolo della lotta contro il tempo. Non con la magia, ma con una biologia fuori dal comune, e con la speranza che l’essere umano, un giorno, possa imparare a imitarla.